“Ma tu sei brava” “Sei così bravo, complimenti”
“In realtà non sono così in gamba, è solo fortuna”

Immagina di aver lavorato duramente per un obiettivo: hai studiato, hai fatto tutto il possibile per arrivare dove sei.
Eppure, nonostante il riconoscimento da parte degli altri – tra colleghi, amici e famiglia – una voce interiore continua a sussurrarti che non sei abbastanza. Che non c’è niente di cui sentirsi orgogliosi o contenti.
Che non meriti ciò che hai raggiunto.
Una sensazione che molte persone vivono, sia nelle piccole che nelle grandi sfide della quotidianità.
Questa condizione psicologica di inadeguatezza si chiama “Sindrome dell’Impostore”, un fenomeno descritto a fine anni ’70 dalle psicologoghe Pauline Clance e Suzanne Imes.
Le persone che vivono questa sensazione di non meritare il proprio successo provano un intenso timore del giudizio, un costante confronto con gli altri, paura del fallimento, ansia, perfezionismo, autocritica e, in generale, vivono con la sensazione perenne di essere smascherate. Temono che qualcuno possa rivelare la loro presunta inadeguatezza, facendo emergere “finalmente” il loro “impostore”
Tale vissuto può essere esplorato in profondità anche attraverso i videogiochi, rivestendo il ruolo di diversi “eroi” di altre storie, possiamo riscoprire il nostro eroe interiore. Così i videogiochi diventano ancora una volta uno specchio per queste emozioni attraverso cui accedere alla sofferenza verso il benessere, in una vera ottica di Video Game Therapy®.
In The Beginner’s Guide (dal creatore di The Stanley Parable, Davey Wreden) , l’eroe della nostra storia, interpretato dal narratore che è anche il creatore del gioco, si confronta con il dolore e la frustrazione a seguito della sua condizione di non accettazione del valore del proprio lavoro. Il “gioco-non-gioco” esplora temi di auto-sabotaggio, insicurezza e la paura di non essere all’altezza delle proprie ambizioni. Il narratore, nel tentativo di guidare il giocatore attraverso una serie di giochi incompleti e abbandonati creati dal suo ex collega, diventa così il riflesso di una mente intrappolata nella Sindrome dell’Impostore.

Il videogioco, pur essendo una esperienza riflessiva sul processo creativo, diventa così un percorso verso la fragilità della fiducia in sè e sul desiderio – nonchè bisogno psicologico – di essere accettati, accolti e compresi, nonostante tutte le insicurezze e “imperfezioni”. Ciò che emerge, è che il sentimento di non essere mai veramente completi, mai abbastanza bravi o mai abbastanza preparati, è una realtà che affligge molti, ma che, in fondo, ci rende umani e in continua evoluzione.
ln Undertale, un titolo riconosciuto come capolavoro del genere indie, l’eroe – un bambino apparentemente debole e senza capacità particolari – si trova ad affrontare mostri e prove in un mondo sotterraneo.

Nonostante le diverse sfide, pericoli e incontri con creature potenti, il protagonista può risolvere le situazioni con empatia e compassione, piuttosto che con la forza.
Undertale dimostra come anche coloro che si sentono piccoli e inadeguati possono fare la differenza, non è necessario essere “eroi” nella definizione tradizionale del termine per essere significativi. Il giocatore viene così esortato a vedere il valore di sè senza il bisogno di riconoscimenti esterni, in una visione che sfida l’idea stessa della Sindrome dell’Impostore.
Essere il proprio eroe.
In moltissimi titoli videoludici emerge così un messaggio potente: anche quando ci sentiamo inadeguati, quando sembra che il mondo ci riconosca un valore che non vediamo in noi stessi, possiamo scegliere di essere gli “eroi” nel nostro viaggio personale. La sfida diventa così opportunità per conoscerci più a fondo nelle proprie vulnerabilità e per trasformarle in una forma di forza.
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